2015 Design week, ovvero quanto conta il design

Inserito il 07 Maggio 2015

di Ursula Iannone

 

La cinquantaquattresima edizione del Salone del Mobile di Milano, la più importante manifestazione fieristica a livello internazionale dedicata all’arredo e tenutasi dal 14 al 19 aprile 2015, ha chiuso i battenti contando un totale di 310.840 visitatori. Com’è ben noto, il Salone ospita aziende di alto profilo del panorama internazionale ed è aperto per i primi giorni agli operatori del settore e per gli ultimi due al pubblico.

E’ proprio il numero delle due giornate di apertura al pubblico, ben 30.881 quest’anno, che conferma il vigoroso trend che pone all’attenzione delle aziende e dei designer l’interesse che lievita di anno in anno ed in maniera significativa anche nei fatti, nei confronti dell’arredo e del design in generale. Parallelamente al Salone del Mobile, nella cosiddetta Design Week, Milano è quasi totalmente animata da un insieme di eventi ed esposizioni, il Fuorisalone, che si promuove in maniera autonoma grazie al lavoro delle singole aziende e designer, e oramai stra-noto per la moltitudine di persone che riesce a convogliare. Persone non necessariamente orientate all’arredo, ma vivacemente coinvolte dall’atmosfera sfrenata e colorita del mondo del design.

E’ così che, in un rullante turbinio che vanifica ogni possibile volontà di un ordinato progetto quotidiano, per i quartieri di Tortona, Lambrate, Brera, Porta Venezia e via alla Fabbrica del Vapore, all’ex Ansaldo, alla Triennale, all’Università Statale, a Sant’Ambrogio, San Gregorio, si affrontano, si mostrano, si affollano, si spalleggiano, si inseguono, si incontrano le migliaia di proposte per cucina, salotto, letto, bagno, corridoio, ufficio, studio, officina, giardino, ricovero di animali domestici e non, e tanto altro di immaginabile.

 

Design Week, si è detto. Abusato termine inglese, design ha ormai sostituito la più vecchia locuzione italiana di “disegno industriale”, a sua volta derivata da quella anglosassone di “industrial design” che distingue tra design, propriamente il «progetto», e drawing, il «disegno». Distinzione assai seria se si pensa a quanto oggi il termine design abbia acquisito un valore assoluto, poiché si riferisce ad un progetto alto, di grande pregio e non ad un disegno monolitico in proiezioni ortogonali da inviare alla macchina. L’espressione design si è diffusa in ogni dove, ha incorporato il bello ed il brutto, l’utile ed il dilettevole e sotto il suo nome va ormai annoverato tutto quanto riguarda la progettazione di oggetti destinati ad essere prodotti industrialmente, cioè tramite macchine ed in serie. Questo per capire cosa può accadere se in una manifestazione nata spontaneamente e allargatasi a macchia d’olio, quale il Fuorisalone, si invita a presentare, nel più ampio dei suoi significati, un prodotto di design.

 

La settimana del Design - dunque design e non più arredo in senso stretto e tradizionale - è decisamente piena. Milano diventa la città di tutti, dove per tutti è un ricorrente e sempre serio ed entusiastico “hai visto?”. Al di là degli eventi e delle infinite, lunghissime passeggiate per il corso Italia della Fiera di Rho o per i cortili e anfratti cittadini, l’Aprile milanese lascia un segno mai uguale ai suoi precedenti.

 

Da qualche anno, tra Salone e Fuorisalone emerge, con un certo piglio, una sperimentazione orientata sempre più rapidamente ad assottigliare il confine tra un progetto artigianale ed un progetto industriale. La vocazione è di tipo assolutamente industriale, ma tutto quanto parte da un ricercato e sottile lavorio di tipo manuale. Emerge, inoltre, come sta accadendo in Architettura, e perciò nell’ordine delle cose quotidiane, la necessità di considerare il lato verde dell’oggetto industriale. Un prodotto di design industriale è tanto apprezzabile quanto più considera la sua sostenibilità in termini economici, ecologici, tecnici, e se l’impatto ambientale ed il benessere sono valutati in riferimento a un tempo a lungo termine. Il cosiddetto ecodesign si avvale di un forte significato scientifico nel momento in cui, per compiere un tragitto davvero sostenibile e industriale allo stesso tempo, deve ricorrere alla tecnologia più avanzata e all’invenzione.

 

Qualche dritta.

All’Ex Ansaldo, magnifico luogo esemplare di una Milano moderna e industrializzata, è stata presentata la terza edizione di France Design. In un gran salone, bianco come si addice alla migliore tendenza patinata, su un lungo podio bianco, il VIA, tra gli altri, ha presentato quattordici prototipi di mobili, elementi per illuminazione ed allestimenti, progettati da dodici giovani designer in cerca di un produttore. Il VIA è una piattaforma che dal 1979, anno della sua fondazione, scopre e incoraggia nuovi talenti nel campo dell’arredo, finanziando prototipi e organizzando esposizioni e scambi tra professionisti al fine di sviluppare fino in fondo un percorso creativo. Una metodologia ancora funzionante per rendere giustizia a chi ha tanto talento e poche vetrine.

 

Due designers, Sybille Berger e Delphine Mériaux, sono partite dall’osservazione dell’attività globale di una conceria che in un mese produce enormi quantità di ritagli di pelli e, in media, fino a due tonnellate di polvere durante la lavorazione del cuoio. Ne hanno considerato il peso fisico e ambientale ed hanno progettato il loro Pêle-mêle stool. Si sono servite dei due tipi di scarti e ne hanno rimodulato la lavorazione per creare uno sgabello. La seduta è composta incollando i ritagli di pelle uno sull’altro per formare un blocco, successivamente tagliato da una macchina a controllo numerico. Il blocco viene fresato sulle facce esterne e scavato nel suo centro per garantire migliore comfort di seduta. Si utilizza polvere di cuoio rigenerato mediante un adesivo naturale per formare un materiale composito leggero, resistente e con buone qualità di isolamento termico e acustico, applicabile ad altri usi e completamente riciclabile.

 

Un tavolo a risparmio energetico? C’è. Un’altra coppia di designers, stavolta maschile, Jean-Sébastien Lagrange e Raphaël Ménard, hanno probabilmente vissuto sulla loro pelle l’atmosfera di una cucina fredda, dove l’idea del focolare domestico è pura astrazione. Il loro tavolo, Table climatique, è un tavolo realizzato con un pezzo di alluminio anodizzato piegato e addizionato con un materiale a cambiamento di fase che memorizza il calore per poi diffonderlo, diventando un vero e proprio radiatore. La sua duplice funzione – tavolo e riscaldamento passivo – migliora il livello di comfort senza alcun apporto di energia.

 

E ancora, un esempio di design monomaterico, senza saldatura né viti è la sedia autoportante Knot chair, dove knot significa “nodo” o “legame”. Il progetto di Nathanaël Désormeaux e Damien Carette si compone di una struttura che lega insieme due tubi in acciaio curvato che si incastrano meccanicamente per garantire la stabilità.  Il bloccaggio delle due parti è assicurato e rafforzato dal peso del corpo di chi è seduto ed i tubi sono tenuti in posizione da quattro strisce in elastomero. Anche in questo caso, la presenza della tecnologia è dominante, impiegata mediante l’uso di curvatrici a controllo numerico, a doppio senso di curvatura, che consentono una maggiore libertà nella creazione delle forme.

   

 

 

 

 

 

 

 

 

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