Propositi di alchimia territoriale

Inserito il 18 Aprile 2019

Sembra tutto estremamente lineare. Nei proclami ripetitivi fino alla nausea gli amministratori non hanno dubbi, e nemmeno la variegata fauna di operatori che ruota intorno alla parola turismo: è giunto il momento di valorizzare il territorio. Anzi i territori, tutti, perché tutti hanno un valore.

Ed ecco che l'apparente linearità del discorso comincia a curvarsi, in direzione di una paradossale circolarità. Se i territori hanno già un intrinseco valore, perché andrebbero “valorizzati”? A meno di non ammettere che bisogna intervenire per risanare una precedente perdita di valore, bisognerà capire meglio cosa intendere per “valorizzazione”.
Traduzione, forse, di innegabili valori immateriali (naturali e culturali) in valori economici?
Per carità. Non che sia una cosa da stigmatizzare, in tempi duri di biocapitalismo e povertà esistenziale, ma se solo di questo si tratta, limitiamoci a parlare di “commercializzazione”.

E' vero che valorizzare viene da “valore”, ma valore viene da “valere”. Ovvero esser forte, gagliardo.
Come al solito, l'accezione più marcatamente economica è un sottoprodotto della società moderna e contemporanea, in cui «è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo» (v. Mark Fisher).
Ed ecco che forse ci avviciniamo al cuore del problema: i territori non hanno perso valore ma hanno smesso di valere. Gli abitanti dei territori si sforzano di “valere”, ma per un contesto più ampio possibile (per il mondo, a limite) e questa tensione svuota i territori, percepiti più come hub e centrali di smistamento che come centri del proprio mondo.
E se il centro è sempre altrove, fuori di sé, fuori della propria terra, non resta che valorizzare periferie (con tutti i limiti della loro condizione). Oppure cambiare se stessi per cambiare i contesti, fare lavoro di “alchimia territoriale” comprendendo a fondo che mettere il proprio luogo al centro significa mettere se stessi al centro, salvarsi dalla deriva delle periferie.

Si tratta di un lavoro individuale e collettivo, di una sorta di impegno rituale, pensando al rito come a una forma di passaggio dalla circonferenza (la molteplicità dei punti dei cicli temporali) al centro, inteso come (ri-)affermazione di una realtà più profonda, indipendente dalle turbolenze storiche, potenzialmente sempre presente e concretamente sempre negata. Di un'identità.

E, a proposito di identità, “Artèteco” propone oggi un flash videografico su uno dei riti più antichi del Sannio, la penitenza di origine medievale dei Battenti del Venerdì Santo.
Un rito che da secoli unisce la comunità in profondo silenzio e raccoglimento. E' con questo video, realizzato da Fabrizio Martini, che “Artèteco” augura a tutti i suoi lettori, sostenitori e simpatizzanti una buona Pasqua.

Dopo le feste torneremo a parlare di rinascita e di possibili alchimie territoriali “individuali e collettive”.

 

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