Food Design contro la cucina dei capolavori?

Inserito il 28 Marzo 2015

La moltiplicazione dei pani e dei pesci su scala mondiale è avvenuta in modalità parodistiche rispetto al miracolo del nutrirsi e all’essenza del condividere. Sullo stesso tavolo Ikea, a 10.000 km di distanza, possiamo trovare lo stesso cibo, assassino seriale dell’anima dei luoghi e della cucina locale, ridotto a noioso veicolo di vitamine, carboidrati e grassi-ma-non-troppi.

L’unicità dei cibi, le particolari qualità che una creatura assume dalla sua terra sono state ribaltate su un mero piano concettuale, in formule pubblicitarie e slogan aziendali. Così è esploso il fenomeno della semiotizzazione del cibo, della sua riduzione a fenomeno culturale da salotto radical-chic: la moltiplicazione dei pani 2.0 ha moltiplicato i blog e le trasmissioni legate al mangiare. Anche se di mangiare non se ne parla proprio, l’importante è cucinare. Poi al massimo un assaggio.

Se da un lato l’attenzione mediatica potrebbe contribuire a spingere la diffusione dei temi legati al mangiar sano e alla necessità del chilometro zero – con tutte le carenze che l’adesione modaiola comporta – dall’altro si tratta del compimento del processo di serializzazione alimentare. Il feticcio della (pseudo-)eccellenza è la perfetta applicazione al cibo della logica della cultura di massa. Abbiamo una “storia dell'arte di capolavori” riprodotti fino al disgusto, avremo una cucina di eccellenze in grado di realizzare il “banchetto della nausea” imbandito con buon anticipo dagli artisti pop. D'altronde Oldenburg (scultore della pop-art) è già un mezzo burger, e dal masterpiece al masterchef il passo è breve, anche verbalmente.

Si diceva: il mondo è eccellente perché è vario, l'eccellenza è devianza. Ma gli “eccellenti”, in fondo, siedono tutti allo stesso tavolo (e chi si sorprende per lo “scandalo-Expo” finge di sorprendersi). L'appiattimento verso l'alto – ciò che si ritiene alto – è la cura di omologazione per i palati fini, ma il processo si spingerà oltre. Il tam-tam gastronomico persegue lo stesso obiettivo della pandemia del sesso (su istinti bassi si fa leva, d’altronde, in entrambi i casi): la culturalizzazione al servizio della disumanizzazione.

Come l’ostentazione del sesso ha prodotto un’eccitazione diffusa con tratti frigidi e quasi casti, così il fornello onnipresente promuove un appetito diffuso che ci priverà della fame (peraltro solo la fame conosce sazietà, e la gente sazia smette per qualche attimo di consumare).

Nell'estetica quotidiana ci si aspetta da alcune esperienze di design una piccola resistenza alla potenza avvilente della serialità e alla conseguente inappetenza esistenziale.

E il food-design può riservarci qualche sorpresa? Torneremo a parlarne.

 

Alessandro Paolo Lombardo

 

 

 

 

 

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